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Marco Michelini | 18 Giugno 2015

Antonio Beccari, che nei codici che ci hanno tramandato le sue rime viene trascritto come Maestro Antonio da Ferrara, nacque a Ferrara nel 1315 da un povero beccaio, che tuttavia diede a lui ed al fratello Niccolò il modo di svolgere studi umanistici e artistici, fino a quando le cattive amicizie non lo traviarono conducendolo nelle bettole e nei locali da gioco. Sospinto sia dalla sua indole irrequieta, sia da una condizione di indigenza, sia dalla necessità di ottenere protezione, errò avventurosamente presso varie corti: i Pepoli a Bologna, i Da Polenta a Ravenna, gli Ordelaffi a Forlì, i Carraresi a Padova e poi a Venezia, Firenze e Siena. Nel 1343, a Bologna, ferì in rissa con un coltello il giullare fiorentino Iacopo di Salimbene, per la qual cosa fu processato e bandito dalla città. Ritornato a Bologna nel 1350, vi compose tre frottole ispirate agli avvenimenti cittadini e alle lotte delle fazioni locali, e una canzone di compianto per la morte di un condottiero di ventura. Da Bologna si trasferì a Ravenna, e durante quel soggiorno tenzonò per rima con Menghino Mezzani; mentre in un successivo soggiorno a Firenze ebbe una tenzone per rima col banditore e poeta Antonio Pucci. La notizia della sua morte, avvenuta tra il 1371 e il 1374, è racchiusa in un breve inciso d’una lettera (Senili, III, 7) del Petrarca, con il quale maestro Antonio entrò in corrispondenza poetica, e che di lui scrisse «uomo non cattivo ma stravagante».


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Aggiunto anche all’articolo: «Appunti di Letteratura Italiana: Il Trecento»

 

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