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Marco M. G. Michelini | 11 Ottobre 2021

Nel corso del Seicento la scienza economica, accanto alla più matura scienza politica, viene elaborando i suoi principi e perfezionando la sua indagine dei fenomeni economici in funzione del potenziamento dello Stato e dell’incremento del benessere. L’attenzione degli economisti di questo periodo è rivolta soprattutto ai problemi monetari, nella convinzione che la ricchezza di uno Stato consista nella quantità d’oro e d’argento che in esso è accumulata (sono le teorie del primo mercantilismo). Alcuni economisti, tuttavia, non si, limitano alla discussione dei problemi monetari e, con maggior consapevolezza dei tempi, ampliano il campo della loro indagine sino a individuare, più o meno precisamente, tutti i fattori che concorrono allo sviluppo economico di uno Stato.

 

Antonio Serra

 

Molto scarse sono le notizie biografiche che riguardano Antonio Serra, nato a Cosenza fra il 1550 e il 1560, dottore in legge e in teologia, imprigionato per dieci anni in seguito a un non ben chiarito complotto contro l’autorità spagnola che governava il regno di Napoli, e che – durante la prigionia – compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere, che fu pubblicato nel 1613. Superando gli schemi del mercantilismo contemporaneo l’analisi di Serra (di cui terranno conto nel secolo successivo economisti come Doria[1] e Galiani[2]) individua con precisione il rapporto organico che intercorre fra economia e politica, per cui il problema economico può essere risolto soltanto con la soluzione del problema politico, e dimostra come lo sviluppo economico di uno Stato non dipenda tanto dagli interventi che si possono esercitare direttamente sulla moneta, quanto soprattutto dalla realizzazione di un governo ordinato e stabile in grado di attuare una politica economica organica e responsabile.

La Repubblica di Venezia è assunta anche da Serra come modello di ordinamento politico in cui, contrariamente a quanto avviene nel regno di Napoli, dominato dal potere assolutistico dei Viceré spagnoli, si sono realizzati quegli ideali di pace, di stabilità, di benessere e di giustizia che assicurano la prosperità dello Stato. Fra le cause che determinano l’abbondanza di moneta, Serra rileva in particolare la produzione industriale, che consente un rapido sviluppo economico e moltiplica la ricchezza, auspicandone l’incremento anche nel Mezzogiorno, di cui analizza l’arretratezza economica in una prospettiva che si potrebbe definire già meridionalistica; la posizione geografica di uno Stato che ne condiziona l’espansione commerciale (e con ciò pare anticipare le moderne teorie del sito economico industriale e della distribuzione territoriale dei commerci); lo spirito d’iniziativa e imprenditoriale dei cittadini, che ha permesso a Genova, a Venezia, a Firenze di prosperare, mentre la sua mancanza ha contribuito all’impoverimento del Regno di Napoli; il commercio internazionale, il traffico marittimo. Il profondo divario fra le condizioni economiche e politiche del Mezzogiorno e quelle di alcuni Stati dell’Italia Settentrionale, in particolare Venezia, è colto in tutta la sua evidenza da Serra che perviene con la sua indagine, a identificare alcuni fra i principali fattori politici, economici e geografici che hanno determinato il differente livello di sviluppo di queste regioni.

***NOTE AL TESTO***

[1] Paolo Mattia Doria (Genova, 1667 – Napoli, 1746) filosofo, matematico, pensatore politico ed economista, fu una delle figure di spicco della cultura italiana nella prima metà del diciottesimo secolo. Profondamente influenzato dalla tradizione intellettuale rinascimentale e postrinascimentale, egli sviluppò un’approfondita riflessione sui fondamenti della società civile e sulle condizioni di svolgimento delle attività economiche al suo interno. In questa linea di pensiero, collocò l’analisi delle diverse forme di commercio e di transazioni monetarie sia all’interno di ciascun sistema economico sia nelle relazioni economiche che si sviluppano attraverso il commercio e i flussi finanziari su scala mondiale.

[2] Ferdinando Galiani, detto l’abate Galiani (Chieti, 1728 – Napoli, 1787), fu un economista italiano allievo di Antonio Genovesi. Nel 1751 pubblicò il trattato Della moneta, un’opera in cinque libri in cui, anticipando alcune tesi dell’utilitarismo, enunciò una teoria sul valore economico dei beni individuando una stretta relazione tra quantità e qualità del lavoro, tempi di produzione, utilità e rarità del prodotto. Tra il 1759 e il 1769 soggiornò a Parigi, dov’era stato inviato come segretario d’ambasciata e nel 1770 pubblicò Dialoghi sul commercio dei grani in cui, contro un indiscriminato liberismo, sostenne il carattere relativo delle istituzioni economiche e la necessità di considerare le particolarità storiche, sociali e ambientali dei diversi paesi. Di ritorno a Napoli si dedicò anche a studi di linguistica e pubblicò nel 1779 un trattato sulla lingua napoletana e un vocabolario.


La versione stampabile dell’articolo è scaricabile da qui: «APPUNTI DI LETTERATURA ITALIANA: IL SEICENTO»

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