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Marco Michelini | 26 Ottobre 2022

Linea Biografica

 

Nato a Ferrara nel 1593 da Giulio e Margherita Calmoni, studiò prima lettere e filosofia dai gesuiti a Modena, poi poesia privatamente a Bologna. Cominciò presto a comporre sonetti, acquistando una certa fama già fin dal 1611, prima ancora di entrare al servizio, come copista di cancelleria, per la Corte Estense, ove ricoprì altri incarichi minori. Nel 1613 vide la luce a Venezia il suo primo volume di versi e, sempre nello stesso anno, Testi viaggiò tra Napoli e Roma, dove strinse amicizia con Alessandro Tassoni, per rientrare a Modena nell’estate del 1614. Nell’autunno successivo si sposò con Anna Leni, dalla quale ebbe sette figli.

Nel 1617 pubblicò il suo volume di Rime, con una dedica a Carlo Emanuele di Savoia, ostile alla Spagna. Per tale motivo, le copie del volume vennero sequestrate pochi mesi dopo la sua uscita: lo stampatore, Giuliano Cassiani, fu arrestato ed il Testi fu costretto alla fuga. Processato in contumacia, il poeta venne condannato al pagamento di una multa e all’esilio. Tuttavia, a seguito di una supplica, il 5 febbraio 1619 ricevette la grazia. Nell’estate seguente, il duca Carlo Emanuele di Savoia, avendo nel frattempo appreso delle sofferenze patite dal Testi, lo volle ricompensare, insignendolo della croce di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, mentre il duca estense lo elevò al rango di “virtuoso di camera”.

I dieci anni successivi furono caratterizzati da una lunga serie di viaggi a carattere diplomatico, in particolare tra Vienna, Roma, Venezia e Torino, in seguito ai quali, nell’aprile del 1635, ottenne un feudo e il titolo comitale. Alla fine di quello stesso anno fu nominato ambasciatore alla Corte di Spagna e, imbarcatosi a Vado, partì alla volta di Madrid (1636). L’ufficio in Spagna, ove fu insignito della croce di Santiago, durò esattamente un anno e, al rientro a Modena (1637), ricevette la carica di segretario di Stato. Nel 1640, stufo della vita di corte, in cui non godeva di particolari simpatie, chiese ed ottenne il governo della Garfagnana. Nel 1642 rientrò a Modena e venne reintegrato negli incarichi di segretario e di consigliere di stato. Nel 1646, però, sospettato di aver fatto parte di un intrigo antispagnolo, fu rinchiuso nella fortezza di Modena, dove morì poco dopo l’anno stesso.

 

Opere

 

Annoverato fra i principali esponenti della letteratura barocca del Seicento, il Testi, dalla pubblicazione del suo primo libretto di versi nel 1613, ove ritornano i moduli stilistici del Marino, diviene uno dei primi ammiratori ed imitatori del Chiabrera ed approda ad una poesia di intonazione eroica ed elevata con le Odi, alle quali deve la sua fama.

«Il testi è il capostipite dei gnomici del Seicento e anche del secolo successivo. Nelle decorose forme d’uno stile sapientemente equilibrato fra il tono eloquente ed il conversevole, egli getta via via i luoghi comuni della moralità convenzionale, e li ragiona per via di esempi e di sentenze non men convenzionali. Non senza vigore, tuttavia, egli sentì, ed espresse talora, la decadenza morale e politica dell’Italia in quei tempi, sia che in una famosa ode giovanile e in un poemetto non meno famoso (il cosidetto Pianto dell’Italia) cantasse con accenti di fervida eloquenza l’odio contro gli spagnoli e le grandi speranze riposte nell’opera di Carlo Emanuele di Savoia; sia che in altre poesie più tarde piangesse la patria corrotta dall’ozio e dalla lascivia e l’esortasse a rifarsi un animo più libero, virile e guerriero»[1].

Non manca anche una volontà schietta di rinnovamento che lo spinge a scagliarsi contro la contemporanea letteratura tutta intenta ad intessere e dipingere idilliche favole amorose, piuttosto che volgersi alla trattazione di argomenti più nobili e materie più degne. Il dolore sincero ed autentico per la decadenza morale e politica dell’Italia, oppressa dal dominio straniero, l’antispagnolismo che diviene non una semplice avversione ma una precisa scelta etica, la consapevolezza di una reale situazione di crisi, non solo politica ma anche spirituale, civile e morale, fanno sì la sua poesia risulti spesso malinconica e pessimistica, frutto di un triste ripiegamento personale.

 

*** NOTE AL TESTO ***

 

[1] Sapegno Natalino, Compendio di storia della letteratura italiana, Vol. II, La Nuova Italia, Firenze, 1981, pag. 295-296.


La versione stampabile dell’articolo è scaricabile da qui: «APPUNTI DI LETTERATURA ITALIANA: IL SEICENTO»

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